La soglia di Gorizia
La soglia di Gorizia è una convenzione geografica usata in ambito militare per definire una zona dell’Italia orientale (corrispondente appunto alla provincia di Gorizia e zone limitrofe) dove, per le caratteristiche geografiche del terreno, veniva reputata più facile una penetrazione di forze ostili nel caso si fosse arrivati ad una “guerra calda” con il patto di Varsavia.
In altre parole si riteneva che in caso di guerra con l’URSS ed i suoi alleati le forze nemiche che avessero tentato di invadere l’ Italia sarebbero passate da questa zona.
Perché proprio da qui ?
Gorizia si trova in una zona pianeggiante alle spalle delle montagne slovene, stretta fra il Collio e il Carso, una vera e propria porta d’accesso alla pianura friulana.
Quest’area poteva essere comodamente attraversata da un esercito invasore che arrivasse da Est (e quindi dalla ex-Jugoslavia), per poi dilagare nella pianura friulana e raggiungere il Fiume Tagliamento senza incontrare grandi ostacoli o strettoie che impedissero il passaggio di grandi colonne di mezzi corazzati.
La soglia di Gorizia coincideva sostanzialmente con l’ex confine italo-jugoslavo, mentre le Alpi rappresentavano una barriera naturale contro un’eventuale invasione proveniente dal territorio austriaco.
All’epoca si pensava che tre direttrici di penetrazione fossero possibili per attuare l’invasione dell’Italia da Est e queste erano:
- passando per Vienna-Klagenfurt-Villach-Udine-Verona
- passando per Innsbruck-Bolzano-Verona
- attraverso la soglia di Gorizia e Trieste, per arrivare sino a Verona.
Le prime due presupponevano ovviamente il passaggio dall’Austria e quindi il valico delle Alpi mentre il passaggio da Gorizia era possibile partendo dall’Ungheria (che faceva parte del Patto di Varsavia) attraversando la Slovenia e non poneva particolari ostacoli montuosi.
Vista la forte componente meccanizzata dell’armata rossa un passaggio che evitasse valichi era ovviamente preferibile se non obbligato.
La soglia di Gorizia e le Forze Armate Italiane
In tutti i casi ipotizzati, però, le forze del Patto di Varsavia avrebbero dovuto passare attraverso l’Austria o l’ex Jugoslavia, dove avrebbero incontrato una seria opposizione. Di conseguenza solo una frazione di queste forze si sarebbe poi scontrato con le forze armate italiane che avevano i considerevoli vantaggi di conoscere bene il terreno e di essersi preparate in anticipo fortificando l’accesso.
Come ben sa chi ha fatto il servizio militare in quegli anni , nelle caserme del Friuli erano presenti la maggior parte dei reparti Italiani, anche corazzati, pronti a schierarsi in caso di conflitto: l’intera regione Friuli appariva fortemente militarizzata (vi erano paesi interi dove il numero dei militari presenti nelle caserme superava quello degli abitanti) con una dotazione di 25 brigate nel 1975.
Una tipologia particolare di questi reparti era la Fanteria d’Arresto il cui compito era presidiare le fortificazioni rivolte verso la frontiera e, come dice il nome, bloccare o comunque ritardare l’avanzata nemica, permettendo all’Esercito italiano di organizzarsi per la successiva difesa.
Proprio per questo era stata costruita una serie di opere difensive e di fortificazione i cui resti sono ancora parzialmente visibili nella piana di Gorizia.
Queste fortificazioni, finanziate in buona parte con fondi della Nato, erano composte, principalmente, da cannoni anticarro, mitragliatrici e posti di osservazione. In alcuni casi erano state riutilizzate torrette di vecchi carri americani M48 o, addirittura, vi erano stati interrati e cementati carri interi, per motivi di costo e di celerità.
La dislocazione delle fortificazioni comprendeva il Friuli Venezia Giulia e si estendeva dal confine con la ex Jugoslavia.
Vista la netta preponderanza di mezzi corazzati nelle forse del Patto di Varsavia venne posta particolare attenzione alle postazioni anticarro: realizzate quasi totalmente per mezzo di torrette di carro armato M26 rimosse dallo scafo del carro ed installate su bunker in cemento armato.
Buona parte di queste fortificazioni ora non sono più visibili causa di una operazione di recupero ferroso e restano solo delle collinette lungo l’argine destro del Torre e dell’Isonzo.
Dal 1990 in poi, dopo il crollo del Muro di Berlino, il Friuli ha subito una veloce e consistente smilitarizzazione che ha ridotto di molto la presenza dell’Esercito sul territorio, ma lo ha lasciato disseminato di strutture di difesa e caserme abbandonate.
La soglia di Gorizia e le mine atomiche
Resta ancora un mistero la presenza, mai confermata e comunque relativa a materia coperta da segreto militare, di eventuali “mine atomiche” : secondo queste voci la zona della soglia di Gorizia sarebbe stata dotata di un certo numero di opere a pozzo per l’installazione di mine atomiche che, una volta fatte brillare, avrebbero arrestato o comunque rallentato l’avanzata del Patto di Varsavia.
Tali “pozzi” sarebbero stati preparati e dotati di quanto necessario per attivare l’esplosivo in essi contenuto senza però che le testate atomiche fossero piazzate; il materiale nucleare era sotto controllo degli Stati Uniti e sarebbe stato rilasciato all’Esercito Italiano solo in caso di effettiva necessità. Inoltre pare che prima di attivare le mine atomiche sarebbe stato necessario l’assenso del governo Italiano.
Tutto ciò è sempre restato a livello di “voci non confermate” o pettegolezzo da caserma ma resta il fatto che fosse una possibilità plausibile e prevista nei piani Nato per la difesa dell’Italia.
Ovviamente le voci relative alla presenza di tali installazioni hanno fortemente preoccupato gli abitanti del Friuli Venezia Giulia ed in particolari quelli della provincia di Gorizia: l’idea che, in caso di avanzata dei reparti invasori, si sarebbe ricorsi all’esplosione di ordigni atomici sul suolo Italiano per bloccare questi reparti è stata vissuta con forte apprensione.
Naturalmente si sarebbe trattato di una sorta di extrema ratio da attuarsi solo nel caso le truppe Italiane e della Nato fossero state sopraffatte e non vi fossero alternative per fermare l’avanzata del Patto di Varsavia ma è sicuro che i danni in termini materiali e di vite umane sarebbero stati disastrosi.