Fabio Di Paola

Enrico Caviglia

7 Settembre 2024 Prima Guerra Mondiale Storia 0
Regio Esercito nella prima guerra mondiale

Enrico Caviglia nacque il 4 maggio 1862 a Finalmarina, in provincia di Genova. Dopo aver completato gli studi, entrò nell’Accademia Militare di Torino, da cui uscì a ventuno anni con il grado di sottotenente di artiglieria.

Partecipò successivamente alle campagne militari in Africa tra il 1888 e il 1889, per poi frequentare la scuola di guerra, entrando così a far parte dello Stato Maggiore. Nel 1895, 1896 e 1897 tornò nuovamente in Africa, distinguendosi per le sue capacità militari e di comando.

Nel 1904 fu inviato come addetto militare a Tokyo, e nel 1911, rientrato in patria, prese parte alla guerra italo-turca, al termine della quale fu promosso colonnello.

Con l’inizio della Grande Guerra, Caviglia fu a capo della Brigata Bari e prese parte ai primi scontri sull’altopiano carsico.

Successivamente, gli fu affidato il comando della 29ª divisione nella zona di Asiago. Nell’estate del 1917, per meriti di guerra, fu nominato comandante del 24° corpo d’armata durante la Battaglia della Bainsizza.

Dopo il ripiegamento verso il Piave, durante il quale fu decorato con la medaglia d’argento, Caviglia assunse temporaneamente il comando dell’8° corpo d’armata fino al 23 giugno 1918, quando venne definitivamente nominato comandante dell’8ª armata, partecipando così alla battaglia decisiva di Vittorio Veneto.

La battaglia di Vittorio Veneto

Proprio durante questa battaglia, Caviglia raggiunse probabilmente l’apice della sua carriera militare. Dopo la disfatta di Caporetto, Caviglia percepì che i soldati italiani che si preparava a lanciare oltre il Piave erano cambiati: erano più forti, più determinati. Gli austriaci, ignari di questo cambiamento, continuarono a distribuire manifesti nelle trincee, incitando alla pace e suggerendo agli italiani di costringere il governo a trattare per porre fine alla guerra.

La risposta di Caviglia fu altrettanto energica: distribuì a sua volta manifesti con la frase “Baionette pronte! Tra poco voi gli darete la risposta”.

La battaglia di Vittorio Veneto ebbe inizio il 24 ottobre. Tuttavia, il Piave, ingrossato dalle piogge, non sembrava collaborare con i piani di Caviglia: il fiume scorreva impetuoso verso il mare, rendendo impossibile per i genieri costruire i ponti.

 

Si dovette quindi ordinare un rinvio dell’attacco di due giorni, una scelta che sollevò anche problemi politici. Gli alleati avanzavano oltre le linee tedesche in Francia, e l’Italia non poteva permettersi di essere ancora bloccata sulle sponde del Piave mentre province intere erano occupate dal nemico.

Caviglia, però, mantenne la calma e analizzò attentamente i grafici delle piene del Piave degli ultimi cinquant’anni, constatando che raramente la piena era durata più di tre giorni.

Al fianco dell’VIII armata, altre truppe stavano già tentando di attraversare il fiume nelle zone più larghe, dove la corrente era più debole. Il 26 ottobre, Caviglia diede finalmente l’ordine di attaccare: i pontieri cominciarono a costruire passerelle e ponti a Fontana del Buoro e a Nervesa, ma la furia dell’acqua ne distrusse molti, costringendo i soldati a ritirarsi.

Fu una notte di incertezza per Caviglia, ma finalmente, il 28 ottobre, il fiume iniziò a ritirarsi. Caviglia colse l’occasione per incitare le sue truppe, sottolineando l’importanza di quelle ore:

La storia dell’Italia futura forse per un secolo dipenderà dalla fermezza ne fervore di cui saranno capaci nelle prossime 24 ore gli animi nostri… E’ necessario che stanotte i ponti siano nuovamente gettati. È necessario che il maggior numero di unità passino sulla sponda sinistra del fiume. È necessario che le truppe che che trovano oltre il Pia

ve attacchino violentemente, tendano con ogni ardore al raggiungimento degli obiettivi prefissi. E ‘Italia che l’ordina. Noi dobbiamo ubbidire.

Finalmente, nella notte tra il 28 e il 29 ottobre, l’esercito austro-ungarico iniziò a cedere, e le truppe italiane, guidate da Caviglia, sfondarono le linee nemiche.

Alla sera del 29 ottobre, gli austriaci, ancora arroccati lungo un canale vicino a Conegliano, a circa dieci chilometri dal Piave, si trovarono ormai privi di resistenza nella pianura. I cavalleggeri e i fanti italiani avanzarono rapidamente per riconquistare le località che, solo un anno prima, avevano lasciato dietro di sé durante la ritirata.

 

Dopo la guerra

Nel dopoguerra, Caviglia fece parte del governo Orlando come ministro della Guerra. Nel dicembre del 1920, su ordine del governo, intervenne con l’esercito per contrastare i legionari di D’Annunzio, che avevano occupato Fiume. Nel 1926 fu nominato maresciallo d’Italia, ma pochi anni dopo si ritirò dalla vita pubblica.

Di convinzioni antifasciste, Caviglia si oppose fin dall’inizio al regime instaurato nel 1922 e, durante la Seconda guerra mondiale, fu tra i generali che cercarono di persuadere il re a liberarsi di Mussolini e a svincolare l’Italia dall’alleanza con la Germania.

Il 7 settembre 1943, Caviglia fu convocato a Roma da Vittorio Emanuele III per un’udienza, ma quando arrivò nella capitale, il re e il governo erano già fuggiti a Pescara. In qualità di ufficiale più alto in grado rimasto nella città, Caviglia assunse il comando della difesa di Roma, trattando con i tedeschi fino al 14 settembre, per poi cedere il comando al generale Calvi di Bergolo.

Tornò quindi alla sua vita privata a Finalmarina, dove morì il 22 marzo 1945.
Fu sepolto nella basilica di San Giovanni Battista in Finale Ligure Marina. La salma fu trasferita nel 1952 nella torre di Capo San Donato .